Sunday, April 27, 2008

Storia di una coppia

Le giornate passano veloci, perché tante cose ci son da fare: ferite da sanare, carcasse da bruciare, questioni da discutere... Perché il resto della popolazione dei Diurni è stato allarmato, ed ormai tutti sono all'erta con le spade sguainate.
Si sussurra di cose importanti, cose di cui solo in parte posso capire la grandezza: una nuova alleanza tra Elfi del Giorno e della Notte deve essere stipulata. Contro il comune nemico, draghi e grifoni devono essere alleati... Il disprezzo e l'orgoglio vanno messi da parte per garantire la sopravvivenza di quattro specie; e tutto, a causa di quell'unica razza...
Verso il tramonto, si arriva ad una concluisione semplice quanto è stata difficile da trovare: un Elfo del Giorno sarà inviato alla capitale degli Elfi della Notte, per comunicare e discutere sui piani da prendere.
Molti sono i giovani che si propognono, ed infine non mi è ben chiaro chi viene scelto: prima di sapere chi è il prescelto, questo è già partito con una scorta, veloce come i tempi che corrono.
Tuttavia, quel gruppo di Elfi non è l'unico che lascerà la città: Felix, caparbio e testardo, insiste di voler seguire Selvaggia e noi due draghi, affinchè anche nell'addestramento della Discepola gli Elfi del Giorno abbiano voce in capitolo.
Un ristretto numero di Elfi sospettano altri fini che riguardano la bella Selvaggia, ma il Re, ignorante sulla questione, acconsente comunque: un po' per il presunto scopo, un po' forse per levarsi di torno Felix...

Il tempo passa veloce come un battito di ciglia, ed in men che non si dica mi ritrovo al tramonto, sola, pregustando l'ultima notte al villaggio prima di riprender il viaggio.
Mi trovo su un verde prato distante dalla cascata quel tanto che basta perché la forza dell'acqua non sia che un rumore indistinto. Il sole stà tramontando, ma il crepuscolo non è ancora giunto: il cielo sopra di me è di un arancio rosato fantastico, punteggiato quà e là di nubi più scure. Ho ancora qualche ora di tempo prima di tornare al villaggio: come se fossi un animaletto domestico, mi sono ormai abituata alle routine della capitale Elfica...
Un frullio d'ali quasi inudibile mi fa girare un momento la testa: è Felix, che atterra con eleganza a poca distanza da me. Lo osservo per un secondo, per poi distogliere lo sguardo quasi non m'interessasse la sua venuta.
Continuando a guardare il cielo, sento che mi si avvicina piano, prima di sedersi accanto ad una mia zampa, poggiando la schiena su un mio fianco. La cosa non mi dà particolarmente fastidio, ma devo almeno fingere riluttanza per onore della mia razza attuale. Così, sbuffando appena, scosto la zampa artigliata con uno scatto che lo fa cadere all'indietro, facendogli battere la testa.
La sua reazione mi stupisce: invece di essere arrabbiato, il Diurno scoppia in una sonora risata.
-Ne hai di carattere, vedo...Pur essendo un'umana- dice.
L'affermazione mi dà parecchio fastidio. -Selvaggia ti ha raccontato tutto?- chiedo.
-Condiseralo un ripagamento per la tua ficcanasaggine della Notte della Terza Luna- ribatte in tono brusco.
Sorrido tra mè e mè: strano, ma questa combinazione di comportamenti dolci e scorbutici mi ricorda molto l'atteggiamento semiaristocratico dei felini...Forse, il patto che la sua razza ha stabilito con i mezzileoni si fa sentire più di quanto pensassi.
-Perché sei qui?- chiedo sospirando.
L'Elfo sospira di rimando. -E' per Selvaggia...Mi ha detto che ti devo raccontare-
-Di cosa?-
-Di noi due. Del nostro...Amore. Se non t'interessa, posso anche andarmene- s'affretta a dire: evidentemente, non è particolarmente felice di raccontarmi i fatti suoi.
Così, un po' per ripicca un po' spinta da vera curiosità, rispondo: -Invece m'interessa. Siete una coppia...Strana-
L'Elfo sorride. -Già. Molto più strana di quanto t'immagini. Non hai visto il comportamento di Marok e di altri Elfi del villaggio quando ho proposto al Re di accompagnarvi, o quando sono tornato qui prima della battaglia?-
Annuisco. -Eppure...Solo una piccola parte della popolazione- faccio notere.
L'Elfo prova di nuovo a stendersi accanto a me. Questa volta, spinta dalla curiosità per il racconto, lo lascio fare.
-Già...Vedo che hai dello spirito d'osservazione- ribatte di rimando. -Comunque, dato che femminuccia sei, è meglio che cominci subito a raccontare: immagino che tu sia impaziente di ascoltare...- dice in silenzio, una vaga critica nella voce. Lasciando stare il "femminuccia", gli faccio un cenno del capo invitandolo a continuare.
L'elfo sorride, per poi iniziare la sua storia. -Molto bene. Accadde tempo fà, quando eravamo ancora molto più giovani di così... Eppur non dei bambini.

All'epoca non avevo nessuno, apparte una banda a cui appartenevo. Mia madre non l'ho mai vista, mio padre era un tipo poco raccomandabile. Erano tempi bui quanto questi, anche se in maniera diversa: ladri e gli assassini vagavano ovunque per queste terre... E gli arresti erano all'ordine del giorno.
La mia era una banda di giovani ladri, una piccola ma conosciuta comunità che tirava avanti rubando o compiendo furti in casa...Piuma di Corvo era il suo nome. Una massa di rinnegati senzatetto e senza famiglia, che non aveva niente in eredità dai propri genitori, nemmeno il grifone che spetta di diritto ad ogni neonato di razza Diurna... Tutti, tranne il capobanda: Nadif, il Fondatore, l'Elfo dalle piume nere quanto erano ardenti gli occhi del suo grifone.
Quanto a me, ero un elemento attivo nella banda, pur non essendo un elemento di punta. Ero entusiasta, ed anche esperto, ma non adatto alla carriera.
Ero abbastanza giovane da temere Nadif, ed abbastanza vecchio per sapermela cavare in situazioni più o meno gravi. Ma avevo un punto debole: le mie prede preferite, quelle che non potevo fare a meno di derubare, erano i riccastri, i nobili, quelli che andavano in giro in mezzo alla "plebe" pavoneggiandosi per le proprie ricchezze... E, tra loro, i peggiori erano gli Elfi della Notte.
All'epoca, i rapporti tra le due razze Elfiche non erano particolarmente tesi: nel nostro villaggio (non ancora capitale, dato che la capitale per noi Diurni non è altro che il villaggio in cui si stabilisce il Re a propria scelta) gironzolavano spesso mercanti Notturni di passaggio, oltre che vari nobili che erano diretti a città più importanti. In quei tempi, ponti fungevano da strade, viottoli passavano per le case, scale erano costruite per passare da uno terrazzamento di case all'altro.
Noi della Piuma di Corvo odiavamo questa situazione: "la Notte ci ha incatenato le ali" sosteneva Nadif all'inizio di ogni riunione giornaliera prima di vedere quanto avevamo guadagnato nella giornata. Durante quelle riunioni discutevamo delle cose accadute mangiando quel che potevamo accanto al fuoco. Questa era la mia vita prima di lei, in tutta la sua semplicità. E credevo che non l'avrei scambiata per nulla al mondo. Sbagliando, ovviamente...
Accadde in una giornate estiva, calda ed affollata: vagavo senza meta alla ricerca di una preda, per ampliare il bottino di quella giornata. Ad un tratto, mi trovai di fronte ad un mercante Diurno con grifone color del bronzo carico di mercanzia, e con il banchetto della roba da vendere colmo di merci e di gente. La mia banda aveva già derubato diverse volte quell'uomo, dato che era talmente ricco da riuscire a campare tranquillamente anche convivendo con noi ladruncoli. E, quesito elementare, era abbastanza stupido da non accorgersi di nulla.
Così, tranquillamente, mi avvicinai a lui. Ovviamente senza sospettare nulla delle mie vere intenzioni, l'Elfo mi salutò con un sorriso di disgusto per poi passare a servire un cliente. In quel mentre, così, potei afferrare un pugno di monete dalla bisaccia fissata al fianco dell'uomo con un gesto veloce, per poi correre via.
Purtroppo, i miei movimenti erano però stati notati da una guardia di passaggio, che cominciò subito ad inseguirmi per le vie trafficate della città.
Pur essendo più veloce perché dotato di grifone, il soldato era svantaggiato tra gli stretti viottoli del villaggio proprio a causa della creatura, così ero quasi sicuro di poterlo seminare.
Ma proprio quando ero certo di aver trovato scampo, mentre continuavo ad avanzare un po' volando rasoterra ed un po' correndo, caso volle che un'Elfa Notturna mi tagliasse fulminea la strada. Non avendo tempo per rallentare, le finii direttamente addosso, e ruzzolammo a terra insieme.
Al mio solito odio per i Notturni si aggiunse una spontanea antipatia. L'Elfa si scusò, e prese a raccogliere le sue cose. Lasciandola perdere ripresi a correre, ma ormai era troppo tardi: la guardia mi vide, ed in men che non si dica mi ritrovai in sella al grifone del soldato diretto in prigione, il bottino confiscato.
Ero furioso. Soprattutto, schiumavo rabbia perché la mia perfetta fuga era stata distrutta a causa di una vanitosa smorfiosetta che correva per strada.
Mi chiusero in cella per una notte, e io continuai a rodermi il fegato in silenzio. Sentii dai discorsi delle guardie che avevano riconosciuto la mia banda d'appartenenza da qualche fattore, e che quindi avrei passato un bel po' di tempo in prigione, e che mi avrebbero spostato nel pomeriggio dalla cella provvisoria in cui stavo alloggiando ad una più sicura.
Il giorno dopo, di mattina, ero quasi rassegnato al mio destino, e la rabbia era un po' sbollita.
Passai diverse ore a vedere chi entrava e chi usciva dalla prigione, quando ad un tratto, la vidi entrare: l'Elfa che mi aveva fatto catturare! La mia rabbia rimontò, anche se non era del tutto colpa di lei.
Così, decisi di interrompere la conversazione che stava avendo con la guardia: "Guarda chi si vede" dissi solo, sarcastico e ringhiante come un cane rognoso.
Lei si voltò di scatto, gli occhi azzurri vaqui per cercare di ricordare il mio volto. "Non ti conosco" disse, sorpresa e stranita.
"Ma guarda un po'" ringhiai ancora "Pensa che sono qui dentro per causa tua..."
Gli occhi dell'Elfa si illuminarono di collera e di comprensione. "Sei il tizio che mi ha urtato ieri!" disse, avvicinandosi alle sbarre che mi dividevano dalla stanza...E che dividevano le mie mani dal suo morbido collo.
"Signronia..." La guardia con cui stava parlando si mise in mezzo, frapponendosi tra lei e me. "Non avvicinatevi, signorina. E' un pericoloso delinquente...Un ladro di prima categoria..."
A quelle parole, non riuscii più a resistere: "Infatti! Lo sono!" urlai , stringendo le mani alle sbarre della cella "Perché è così che posso vivere! L'unica maniera con cui posso andare avanti! Se non fosse per questi Notturni, che vagano per le nostre terre ingozzandosi del nostro cibo e calpestando il nostro onore, di certo non sarei ridotto a questa vita, perchè pur essendo un rinnegato avrei avuto un posto in cui lavorare!"
Non fui abbastanza veloce per evitare frustata da parte della guardia che mi arrivò sulle mani. "Taci, feccia!" ringhiò questo, mentre io mi strofinavo la parte delle mani che era stata colpita, digrignando i denti.
"Signorina, vi prego di ignorarlo..." continuò l'Elfo, ma la Notturna continuava a fissarmi, gli occhi spalancati e vaqui: di certo l'avevo colpita. Poi, riprendendosi, mi rispose con un semplice "Ti sbagli", per poi voltarsi verso la guardia.
"E' un prigioniero molto imprtante?"
"Perché non me lo chiedi direttamente?!" digrignai.
"Tu stai zitto. Allora, quanto è imprtante?" ripetè, gli occhi penetranti puntati sul Diurno.
L'Elfo rispose titubante, senza capire dove l'Elfa volesse andare a parare: "Beh.. Diciamo che non è il capo dell'organizzazione...Ma è comunque uno dei ladri più capaci della nostra città..."
"E quanto costerebbe la sua scagionazione?"
Sussultai: cosa aveva in mente quell'Elfa? Tuttavia, mi ricomposi in un attimo, riprendendo a guardarla con aria scettica.
"Co...Cosa?!" La guardia era stupefatta quanto me.
"Non avete ancora avvisato nessuno della sua cattura, no? Ritengo che quindi sia possibile trattare la scagionazione del prigioniero" riprese, in tono educato e freddo, di chi sà come raggiungere i propri obbiettivi.
La guardia sembrava sorpresa quanto me: "Ma, signorina...Se tornasse a rubare, sarebbe una catastrofe per la città!"
Ringhiai tra me: il solito esagerato. Bastava che aprissero quella dannata gabbia, e sarei sgusciato via con facilità e velocità. E tanti saluti all'Elfa...
"Mi prendo io ogni responsabilità" disse l'Elfa, risoluta. "E...Per il favore, aggiungerò una piccola somma alla sua scagionazione".
Capii che dalle parole "piccola somma", l'Elfa ebbe in pugno la guardia: ed infatti fu così. Solo questione di tirare fuori chiavi e monete d'oro (una considerevole somma d'oro). Poi, le chiavi che giravano, la porta che si spalancava, e...
Buttai giù la guardia con una spallata, prendendo il volo selvaggiamente, sbattendo le ali baciate dal sole. E sempre più in alto, sempre più in alto...
Uno strappo, e la mia salita si bloccò bruscamente. Guardai sotto di me: una pianta d'edera robusta quanto ben ancorata al terreno si era attorcigliata al mio piede nudo.
Non realizzai subito, così presi instintivamente a divincolarmi, mettendo sempre più forza nelle ali, sudando per la fatica...
E poi, con un nuovo strappo l'edera mi tirò indietro, avvolgendosi su di me come un serpente, e ritirandosi verso il basso, mentre io ero sempre più incatenato, e mi sentivo soffocare...
"Molto poco lunga, la tua libertà" commentò l'Elfa dietro di me. Cercai di girare la testa, di muovermi in qualche modo, ma ero del tutto bloccato: potevo solo guardare in avanti, e rantolare qualche parola.
La Notturna si parò davanti a me, seguita dalla stupefatta guardia. "Straordinario..." mormorò quest'ultima, sfiorando l'edera che mi avvolgeva.
"Come vedete, ho tutto sotto controllo" disse tranquilla l'Elfa.
"Ma...le...detta..." mormorai io. Lei mi mostrò il palmo aperto della bianca mano, per poi richiuderlo di scatto: nello stesso istante, la pianta che mi imprigionava si strinse ancora di più attorno a me, spremendomi fuori ogni briciolo d'aria che mi era rimasta nei polmoni.
"Ancora che parli?" domandò lei con aria scettica. "Ti consiglio di proferar parola solo quando te lo chiedo io: come avrai notato, ho la situazione in pugno".
La guardai con odio: aveva insopportabilmente ragione. Con un sorrisetto, lei continuò: "Dato che ho compromesso la mia parola, non ho intenzione di liberarti per puro diletto. Anzi, dato che non hai un posto di lavoro fisso, posso tornarti utile proprio per questo: sono nuova di questo posto, e mi serve una guida. Sono disposta a pagarti anche bene, purché tu svolga il tuo lavoro."
"Preferisco la prigione" mugugnai. L'elfa strinse le spalle, aprendo di nuovo la mano. Strizzai gli occhi, pronto ad una nuova scarica di dolore... Cosa che non avvenne. "Mi spiace, ma avendo pagato per farti scagionare non te lo posso permettere" rispose sospirando. "I casi che rimangono sono due: o ti comporti da bravo bambino e soddisfi la mia richiesta per un discreto numero di monete, oppure ti soffoco con l'edera e me ne vado come se nulla fosse. Cosa decidi?"
Beh...Il mio onore non valeva la mia vita: pur riluttante, dovetti accettare l'impiego.
Così, borbotrando sottovoce: "Scelgo la prima", sentii la pianta che mi lasciava lentamente andare, scomparendo attorno a me per poi svanire del tutto...Eccetto che sul polso, dove rimase un rametto d'edera chiuso a bracciale.
Vedendo che lo stavo osservando, l'Elfa mi spiegò " E' il segno del patto che hai fatto con me. Da adesso in poi, ti potrò rintracciare grazie a quella pianticella, e potrò controllare molte delle cose che ti riguardano..." detto questo, si allontanò. "A domani, appuntamento all'alba in questo punto...Avremo molto da camminare". Le sue parole risuonarono nella mia mente, oscure quanto è chiaro il Sole...
Di pessimo umore e senza aver voglia di andare alla riunione della mia banda, tornai alla baracca che condividevo con il mio più caro amico...Che, purtroppo, in quel momento era in casa.
"Ehilà, Felix!" mi salutò appena mi vide.
Sogghignai. "Marok..."
L'Elfo pimobò accanto a me, acquattandosi sulle gioncchia. "Non ti ho visto ieri. Cosa è successo?"
"Mi hanno beccato".
"Ooooh....Ma non dovevi essere sgusciante come un furetto? E come mai sei ancora qui?"
"Mi hanno rilasciato. Non mi hanno riconosciuto e mi hanno rilasciato".
L'Elfo mi guardò con aria scettica. "Molto strano, dato che le guardie ti incontrano a rubacchiare un giorno sì e l'altro pure... Allora, che mi nascondi?" insinuò con aria maliziosa.
"Assolutamente nulla" mentii disinvolto. "Esco".
"Ma sei appena rientrato!"
"Ero di passaggio". Detto questo, uscii di nuovo, sapendo di avere gli occhi di Marok puntati sulla mia nuca.
Ci conoscevamo da sempre, e solitamente non ci nascondevamo nulla...Ma di certo non potevo dirgli che ero diventato lo schiavetto di un'Elfa della Notte. Maledicendola un'ennesima volta, me ne andai a passeggio per la città con aria svogliata, evitando le guardie, per poi tornare a casa solo quando Marok era già andato a dormire. Certo, mi dovevo svegliare presto...Ma che importava?

Il giorno dopo, fui svegliato dalle urla di Marok: "FELIX! IL POLSO!".
Scrollandomi di dosso il torpore della notte, guardai dove mi stava indicando Marok: la piantina si era stretta attorno al polso, lasciando la mano rossastra e pulsante, ed aveva cominciato a risalire verso l'avambraccio, continuando a stringersi.
"Non posso utilizzare un coltello, finirei solo per farti male..." continuò Marok, guardandomi spaventato.
Imprecando come risposta, uscii fuori dalla baracca volando velocemente verso il luogo dell'appuntamento. Pur essendo stato veloce, quando arrivai l'edera aveva stretto tutto il braccio.
E lì trovai l'Elfa, sorridente ed insopportabile, poggiata tranquillamente al muro. "Sei in ritardo" disse solo.
"Toglimela! Avanti!" strillai strattonando l'edera.
Lei strinse le spalle. "Punizione. Più fai ritardo, più l'edera cresce e si stringe. Un altro poco e sarebbe arrivata al collo, e stringendosi non avresti più respirato...La prossima volta, vedi di essere puntuale" m'ammonì, sfiorando con un dito il braccio pulsante: al passaggio del pallido arto, l'edera scomparve lasciando libero il braccio ormai violaceo. Allentando il braccialetto con lo stesso metodo, l'Elfa si rivolse infine a me: "Allora: dove mi porti?"
Una serie di battute sarcastiche mi balzò in mente, ma tenni a freno la lingua, borbottando tra me e cominciando a camminare.
In verità, non c'era molto da vedere: era una cittadella di lavoratori, quindi non particolarmente piena di attrattive per viandanti. Quel poco di importante che c'era da vedere coprì a mala pena la prima giornata... Tanto meglio, almeno non l'avrei più rivista.
Tornati al punto di partenza, le domandai "Allora? Divertita?"
Lei sbadigliò. "Affatto. Tutto così...Banale".
"E' tutto ciò che c'è da vedere. Ora addio".
"Non ci credo".
"La cosa non mi riguarda".
"Oh, invece sì: grazie ai miei poteri, ho scoperto che di rado passi per quelle strade...Eppure continui a vivere qui, pur essendo un tipo attivo: che fai tutto il giorno? Dove vai a divertirti? Questo voglio vedere: le cose che fa un cittadino normale, cose che solo gli snob snobbano... Ma che probabilmente sono le più divertenti".
La guardai incuriosito: dopo tutto, era ancora giovane. Logico che volesse divertirsi... Il senso di pena però fu subito represso dall'orgoglio: che m'importava, dopotutto?!
L'Elfa mi toccò la spalla. "Ecco i soldi di oggi. Ah, aggiungiamo un piccolo particolare al mio accordo: più mi divertirò o mi stupirò, più ti pagherò. Va bene così?" disse, dandomi una discreta somma di monete d'oro.
Un'Elfaccia viziata, che ottiene tutto con i soldi...Ma dopotutto, avevo bisogno di soldi, e se potevo unire l'utile al dilettevole, tanto meglio per me.
Ringhiai, voltandole le spalle. "Provvederò domani. Però dovrai svegliarti prima: ci vediamo qui due ore prima dell'Alba" dissi, volando via.
Fui il primo ad arrivare all'appuntamento: non avevo incontrato nessuno per strada, cosa alquanto gradita.
Appena la vidi arrivare, le andai incontro con un mantello della sua misura ed una piccola fiala. Mi guardò con aria interrogativa. "Per confonderti: se la gente mi vedesse andare in giro con una Notturna, diventerei lo zimbello di tutti... E non sarei più il benvenuto da nessuna parte" dissi schiettamente.
Annuì. "Il mantello lo capisco, ma l'intruglio...? Non sarà un veleno?"
Lo ammetto, ci avevo pensato. Ma, saggiamente, avevo deciso di lasciar perdere: di solito i Notturni ricchi hanno amici potenti. "No. Guarda" dissi, prendendone una sorsata. Su di me non aveva effetto, ma su di lei..."E' nettare dei Fiori della Terza Luna grezzo, mischiato con una piuma di grifone: serve a farti crescere le ali".
Rimase interdetta solo per un attimo, poi bevve d'un sorso il liquido. Sussultò un secondo, poi si strinse lo stomaco, divenendo sempre più pallida. Subito dopo, il vestito si squarciò sulle spalle, lasciando uscire delle belle ali nere... Le stesse ali del grifone di Nadif, da cui avevo strappato le piume.
Prese un po' d'acqua dalla bisaccia, poi toccò alcune piume, gli occhi sgranati e brillanti. "Posso volare?" sussurrò eccitata. Sembrava una bambinetta: peccato smorzare il suo entusiasmo...
"No: le tue ossa sono troppo pesanti. Quelle ali sono solo una copertura, come il mantello: possiamo fingere che tu sia una Diurna che ha avuto un incidente e che è incapacitata a volare."
"Oh..." Senz'altro era delusa. "E allora come ci muoveremo?"
"A piedi...O, in alcuni casi, sarò costretto a prenderti in braccio" ghignai. Parve inorridita, ma voltai le spalle lasciando correre.
"Vieni. Dobbiamo andare nella parte alta della città...Di là c'è una vista stupenda quando viene l'Alba".

Ed i giorni passarono abbastanza tranquillamente. Ogni mattina, guardavamo il sorgere del Sole insieme, tenendoci a distanza l'uno dall'altra. Poi, la portavo un po' in giro: inizialmente mi limitai a trascinarla con distacco nelle periferie, mostrandole posti particolari seppur poco famosi. Ma poi, col passare dei giorni, fui contagiato dal suo entusiasmo e cominciai a trattarla come fosse una semplice Diurna in gita nella città: ci intrufolammo insieme in una stalla poco sorvegliata, dove le feci vedere come prendersi cura di un grifone (cosa che ogni Diurno sa, pur non avendone uno tutto per sè); la portai alla cascata, mostrandole come con alcuni oggetti facilmente repelibili si potessero creare giochi di luce mozzafiato in cielo e nell'acqua. Una sera la portai ad una festicciola di una famiglia che conoscevo: la vecchia capostipite della famiglia e le altre elfe, non sapendo la sua vera identità, la trattarono come una di loro, insegnandole senza stupore o domande alcuni passi di danza, per poi mettersi a danzare attorno al fuoco, muovendo ali, mani e piedi in movimenti aggrazziati al ritmo dei tamburelli suonati dai più giovani.
L'avrai capito: più la conoscevo, più interagivo con lei, più la osservavo mentre rideva o si stupiva come una bimba e più cominciavo a capire che qualcosa era cambiato nel profondo... Ogni volta che la guardavo allontanarsi da me dopo una giornata di passeggio, avevo una grandissima voglia di seguirla: era così fragile, così minuta, così infantile... Mi sentivo in dovere di proteggerla, anche se lei forse non se ne rendeva conto. Quando seppi il suo nome, rimasi quasi scioccato: Selvaggia. Una parola così rude, non le si addiceva proprio... Sarebbe stato più appropiato un nome di un fiore, per quella bimba della selva. Tuttavia, non feci commenti nè chiesi nulla: tra noi c'era l'implicito accordo di non far domande sul passato. Infatti, nutrivo il forte sospetto che lei non fosse venuta nella terra dei Diurni in cerca di affari...

Intanto, però, continuavo a tenere d'occhio la mia banda: nessuno mi faceva domande, dato che continuavo a portare alla banda una parte dei soldi che Selvaggia mi dava, anche se molti mi avevano visto in sua compagnia. Girava voce che Felix avesse una compagna, ma le insinuazioni non mi davano fastidio...
Marok, intanto, stava facendo dei grandi passi avanti: era divenuto uno dei ladri più esperti, uno dei pezzi grossi. Lo sentivo di rado, ormai, ma mi sembrava abbastanza preoccupato per qualcosa.
E poi, cominciarono i problemi: la Piuma di Corvo stava infatti cominciando a subire un...come dire..."Salto di qualità". I ladri stavano cominciando a divenire più pericolosi: dopo che i prezzi del cibo erano aumentati, i giovani poveracci che non avevano nulla da perdere avevano cominciato a sabotare ponti, carri o quantaltro in modo da raccogliere in seguito gli averi del malcapitato durante il momento di trmabusto successivo all'incidente. Inutile dirlo, le vittime più gettonate erano i Notturni: non essendo dotati di ali, non ci voleva nulla a farne precipitare uno in un punto stabilito per poi raccoglierene gli averi mentre era svenuto o morto...

Accadde durante una passeggiata con Selvaggia: stavamo camminando tranquillamente vicino ad un crepaccio, quando Selvaggia avvistò un piccolo Elfo della Notte, su un ponte, tutto solo ed accovacciato accanto ad un qualcosa. Subito, come era suo solito, ella corse da lui per vedere cosa stesse osservando il piccolo, lasciandomi indietro con un sorriso.
Fu solo per caso che li vidi, accovacciati dietro a dei cespugli, in attesa: due giovani dagli abiti lerci, appartenenti alla mia banda.
Ad un tratto, intravidi pure cosa stava tenendo il bambino: un cucciolo di grifone nero, una versione cucciola del grifone di Nadif. Avevo saputo che aveva avuto dei cuccioli, ma non mi aspettavo li desse agli scagnozzi per preparare le imboscate...
Fu un attimo: appena entrambi gli Elfi Notturni furono nel mezzo del ponte, le corde che lo sorreggevano cedettero, e Selvaggia ed il bmimbo caddero.
Subito, mi gettai anche io nel vuoto, scendendo in picchiata fino a raggiungere il piccolo piangente, per poi afferrarlo e risalire di quota.
Fu solo quando lo poggiai a terra che ricordai il piccolo particolare: Selvaggia aveva le ali, ma non sapeva volare. Sul momento, non c'avevo pensato.
Con orrore, guardai in basso: era riuscita a richiamare il suo potere, e se ne stava a penzoloni con le braccia alzate, avvinghiate ad un traliccio d'edera. Non sembrava molto comoda. Mi sorrise, ignara ma non riuscii a ricambiare il gesto: sapevo che i due Elfi dell'imboscata avevano osservato tutta la scena, intuendo tutto: perché gli Elfi del Giorno non sanno usare la magia. E, di certo, presto anche Nadif avrebbe scoperto il mio segreto...
Attesi meno del previsto prima di essere convocato d'urgenza al cospetto di Nadif. Pur mostrandomi baldanzoso, avevo tantissima paura: e lui lo sapeva.
Oltre a lui, c'erano gli altri pezzi grossi della banda, nonchè Marok: il suo sguardo era ferito e freddo, com'era giusto che fosse.
Furono così gentili da non malmenarmi subito: si limitarono a farmi pacatamente delle accuse, con annessi insulti assortiti più o meno pesanti. Non solo per esser stato in compagnia della Notturna: ma perché era ricca, perché non l'avevo comunicato, perché avevo derubato il Grifone di Nadif di alcune piume per l'intruglio... Ero stupito della velocità in cui avevano raccolto tutte le informazioni.
Proposero tuttavia di perdonarmi, ma ad un'unica condizione: avrei dovuto scoprire dove abitava Selvaggia, e riferirglielo.
Non era una cosa da nulla: sapevo che alle case delle persone che davano fastidio alla banda capitavano casualmente svariati tipi di incidenti. Qualcuna veniva depredata completamente, altre venivano invase da cavallette o insetti fastidiosi, ad altre sparivano o morivano i grifoni...Ma alle case di coloro che erano davvero fastidiosi capitava un unico incidente: andavano a fuoco nelle giornate più adatte...E in tutti quegli incendi, senza eccezione, morivano una o più persone.

Ovviamente, rifiutai: avevo paura, ma l'affetto che provavo per Selvaggia era superiore a qualsiasi altra cosa.
Non mi picchiarono nemmeno in quella occasione: ovviametne, se mi fossi presentato da lei con la faccia livida e piena di ferite, avrebbe sospettato qualcosa.
Si limitarono a rinchiudermi in una stanza alta, aspettando che il caldo, la fame e la sete mi rendesse più comprensivo.
Inizialmente, ero disposto a morire pur di non rivelare nulla...
Ma poi, alcuni fattori mi fecero cambiare idea: primo fra tutti, Marok.
Mi venne a trovare qualche ora dopo che mi ebbero rinchiuso: si poggiò alla porta e sospirò rumorosamente.
"Sono molto deluso, Felix" cominciò prevedibilmente, come un padre che sgrida un figlioletto.
Strinsi i pugni, poggiandomi dall'altro lato della porta per poterlo ascoltare.
"Lo immagino".
"Perché l'hai fatto? Stavi tanto bene. Eravamo amici, ci aiutavamo l'un l'altro. Avevi la banda, avevi un mestiere..."
"Rubare è un mestiere? Non è un'attività provvisoria prima di trovare un lavoro vero?"
"Da quando inizi, ci sei dentro, Felix: e questo lo sai. Come hai fatto a farti ammansire così da un'Elfa?! Da una di loro, poi: li odiavi, Felix, non rammenti?! Me lo hai insegnato tu ad odiarli: mi hai spiegato ciò che fanno, ciò che ci rubano senza essere perseguiti legalmente...Perché tradisci i tuoi ideali?!"
"Tu non la conosci, Marok".
"Anche se la conoscessi, non cambierei idea! Non tradirei un amico...Non ti tradirei, Felix!"
"Ti ho forse tradito?"
La domanda lo fece sussultare. Non rispose, così ripresi:
" Non ho tradito te, Marok: mi puoi dire ciò che vuoi sulla banda, sulla nostra occupazione, sul nostro stile di vita; ma nulla sulla nostra amicizia...Nulla su di noi".
"Non IMPORTA!" il suo grido mi fece sussultare.
"Al diavolo le mie parole! Perché l'hai fatto, Felix? Perché hai tradito la banda per fare il cagonlino di quella lì? Non siamo forse abbastanza importanti per te?"
Non gli raccontai che ero costretto; non gli raccontai del braccialetto d'edera che avevo portato in un primo periodo al polso;
digrignai i denti, sospirai, e lo dissi: "Tu non capisci...Io la amo".

Ci fu un momento di pausa che mi parve lungo un'eternità. Sentii Marok che sussultava, e me lo immaginai rigido dall'altro lato della porta, a riflettere: probabilmente, ero la prima persona al mondo che diceva una cosa del genere.
"Stai scherzando...?" sussurrò incredulo.
"Affatto. Mai stato così serio".
Fece una risatina forzata. "No, ti starai confondendo...Non può essere amore..."
"Affatto".
"Felix, è di un'altra razza!"
"E' pur sempre un'Elfa come le altre...Solo che non ha le ali".
"Ma...Ma...Non si può!" era sconvolto, capiva appieno ciò che avevo fatto...Ma non le mie ragioni.
"Nessuno lo vieta, e l'amore è incontrollabile..."
Mi sembrò di sentire qualche singhiozzo, ma probabilmente mi sbagliai, dato che la voce era ben ferma quando ricominciò a parlare.
"Appunto per questo...Ti consiglio di fare ciò che Nadif ti chiede".
Spalancai gli occhi: "Mai! Mi sorprendo che tu dica così: non consegnerò mai la mia Selvaggia a quei bruti!"
Lo sentii ridacchiare: "Parli come un eroe delle ballate epiche: poco credibile, Felix. Tuttavia...Meno male che ci sono io, che ragiono a mente fredda e non sono deviato dalla calura dei sentimenti... Se ti lasci morire così, non le darai nessun aiuto, nè la rivedrai mai più; se invece rimanessi in vita...Qualcosa potresti fare. Anche perché...Quanto pensi ci possano mettere a trovare comunque la sua abitazione?-
Il suo tono di voce s'era fatto basso: ovviamente, se gli altri avessero sentito quei discorsi, ovviamente l'avrebbero rinchiuso.
"E poi...Dato che so la tua situazione, potrei anche decidere di darti una mano. Mi sono scocciato di fare il ladro...Pensaci."
Detto questo, se ne andò in un fragore di passi.

Ci pensai ancora su, ma alla fine accettai: chiamai un qualcuno, e decisi che avrei intrapreso la "missione". Mi sentivo un mostro, ma non avrei potuto fare altrimenti...
Il giorno dopo, così, dopo una passeggiata particolarmente bella, domandai a Selvaggia di vedere dove abitava. Lei parve sospettosa, ma alla fine accettò e mi guidò ad una piccola casa di paglia, che pareva particolarmente adatta al compito dei miei colleghi. Mi offrì una bevanda alle erbe, e rimanemmo tutto il tempo a guardarci colmi di imbarazzo.
Quando fu arrivato il momento di andarmene, uscii il più velocemente possibile, senza guardarmi indietro e senza pensare a quel dolce momento rovinato da ciò che le stavo per fare...
Tornai al rifugio, e svuotai il sacco davanti a Nadif. Senza perdere tempo, questo organizzò un gruppo di elfi valorosi e s'allontanò cavalcando il suo grifone... Senza tralasciare, però, l'ordine di rinchiudermi per evitare "eventuali ripensamenti".
Quella mossa non me l'aspettavo, e per un momento fui preso dal panico. Poco dopo, però, sentii dei rumori di lotta al di fuori della mia cella, e quando andai a guardare vidi Marok, con un occhio pesto ma avente la chiave della cella in mano, ed un Elfo del Giorno svenuto per terra.
Appena fui libero, mi guidò verso l'uscita, dove ci attendeva un bellissimo grifone.
-E' figlio di quello di Nadif...L'ho ricevuto con la mia ultima promozione-mi disse strizzandomi l'occhio. Per lo meno, in groppa ad un grifone avremmo fatto prima...

Decidemmo di dividerci: lui andò, seppur con grande riluttanza, a chiamare le guardie per avere dei rinforzi ("Tanto avevo deciso di costituirmi..." furono le sue parole a riguardo) mentre io accorrevo subito da lei.
Quando arrivai, la casa era in fiamme ed apparentemente deserta. Senza pensarci due volte mi tuffai all'interno di essa, sentendomi subito soffocare per il fumo. Ricacciai indietro il dolore e le sensazioni sgradevoli, per mettermi a gridare "Selvaggia!" tra un colpo di tosse e l'altro.
La casa di legno praticamente cadeva in pezzi. Dovetti usare tutte le mie abilità feline della mia razza per non cadere o rimanere ferito.
Infine, la trovai legata ad un muro, praticamente al centro della casa: fortunatamente, non sembrava ferita. Mi guardò con occhi colmi di terrore, e non disse nulla quando la slegai: aveva capito che quei tipi avevano a che fare con me.
La sentii irrigidirsi quando la presi in braccio, per poi prendere a camminare volicchiando verso la finestra. Poco ci mancò che ci rimanessimo secchi tutt'e due per alcune travi in caduta, però riuscimmo ad uscire.
Non appena atterrai, mi ritrovai circondato dai membri della mia banda: sopra di me, davanti, ai lati, sotto: non avevo scampo.
Nadif era proprio davanti a me: non disse una parola, limitandosi a guardarmi truce.
Non ebbi il tempo nè la forza di evitare il suo pugno, diritto in viso. Provai un dannato dolore, ma strinsi Selvaggia a me, cercando una via di fuga: adesso era quasi finita, non potevo muorire così...
Nadif provò a calciarmi le braccia per farmi mollare la presa di Selvaggia, ma girandomi di spalle incassai il colpo direttamente sulle ali. Barcollando, faticai riprendere l'equilibrio. Tutti mi guardavano truci, urlando o insultandomi: ma solo Nadif mi picchiava. Era il suo compito, come il mio era quello di resistergli e di far sì che la mia Selvaggia rimanesse illesa.
Fu solo molto tempo dopo, quando ormai mi sentivo svenire, che Marok arrivò con i rinforzi: aveva avuto dei probelmi con le guardie, mi disse dopo.
Non appena le videro arrivare, tutti i membri della piuma di Corvo si sparpagliarono allontanandosi. Le truppe non badarono a me, e se ne andarono a caccia di quelli... Marok ebbe la saggia idea di andarsene per lasciarci in pace.
Non appena l'area fu deserta, atterrai pesantemente e crollai a terra.
Selvaggia si chinò accanto a me, preoccupata ma troppo orgogliosa per ammetterlo.
"Ti sei comportato bene, infine: complimenti. Ero pronta a mandarti al diavolo" mi disse fredda. Non potei fare a meno di sorridere. "Mi perdoni?" chiesi mettendomi in ginocchio come la stessi supplicando. Poi, senza attender risposta, le sfiorai una guancia e unii mia bocca alla sua.
Fu questo il nostro primo bacio: un bacio che sapeva di fumo, di sangue, di lacrime, di stanchezza, di paura. Ma soprattutto c'era amore, in quel bacio: l'amore impossibile, l'amore più bello. L'amore che ancora continua ad unirci...
Ricordo vagamente cosa successe dopo: lei si allontanò e tornò con qualcuno che mi potesse aiutare. Poi, scomparve. Non si fece più vedere: mi dissero che se n'era andata. Ed io mi sentii morire.
Successero tante cose, mentre io guarivo: la banda si sciolse, e la maggior parte dei suoi membri fu arrestata. Non io, però, nè Marok: avevano deciso di chiudere un occhio su noi due, grazie a una cospiqua somma di denaro (il denaro poteva tutto, all'epoca) e per il fatto che eravamo stati noi a spifferare tutto. Così, tornammo alla nostra vita da soli, stavolta ognuno con un lavoro legale: lui si era arruolato come soldato, mentre io, dato che non avevo un grifone tutto mio, dovetti accontentarmi di lavorare quà e là per raccimolare abbastanza soldi da comprarmene uno, per poi intraprendere la carriera per divenire una guardia dei Grifoni...

La ritrovai tempo dopo, quando meno me l'aspettavo: davanti alla porta della casa che ancora condividevo con Marok, con accanto a sè un magnifico e possente grifone.
"Si chiama Cripto" rispose consegnandomi le sue redini "E' il mio modo per rispondere sì a quella domanda di tanto tempo fa..."
E così, ci riunimmo di nuovo. Vivemmo per un po' insieme, cosa che suscitò le ire di Marok, ovviamente: i due non si piacevano proprio...E non si piacciono tuttora.
Poi, lei ripartì per i suoi vagabondaggi, lasciandomi solo con Cripto e con tante nuove conoscenze che mi avrebbero facilitato l'ascesa per raggiungere il mio obbiettivo..."


Finito il racconto, Felix si alza imbarazzato, e senza aggiungere altro se ne vola via. Lo imito poco dopo, con molte risposte ed un'unica domanda: come mai il carattere di Selvaggia è cambiato tanto da quei tempi? Lo scoprirò, un giorno...Ovviamente, dato che di mezzo c'era Selvaggia, quando meno me lo sarei aspettato.

Thursday, April 3, 2008

Esecuzione

La stanchezza limita i miei movimenti come fosse piombo: è per questo che arrivo troppo tardi per prendere ancora parte alla battaglia.
La prima cosa che noto è il silenzio: apparte la cascata scrosciante, tutto tace, come fosse avvolto da un velo di impalpabile silenzio...Forse è il peso della battaglia, l'ultimo muto canto d'addio ai morti.
Per seconda cosa, mi giungono molti odori mischiati: fumo, metallo, sangue... Come ultimo particolare, ciliegina di quella torta avvelenata che è la battaglia, vedo tutto con i miei occhi: accanto alla placida riva del fiume nascente dalla cascata vi è un pantano di forme contorte avvolte nel fango, così mischiate tra loro da sembrare quasi una cosa omogenea. E' una vista di tale desolazione e freddezza da spezzare il cuore anche a persone più forti di me...
Veloce, atterro il più possibile vicina al cumolo di sopravvissuti, moribondi e cadaveri: occhi vitrei, arti sporchi o rossi e lamenti uniti ai rantoli sono la cosa che rimane più impressa nella mia mente.
Da una parte, c'è un Narug senza una zampa e con il ventre squarciato: è a terra, ma tutto tremante continua a provare ad alzarsi, in forma di un mite cavallino bianco. Quella incertezza, che fino a poco tempo prima avrei collegato ad un puledrino appena nato che prova ad alzarsi, adesso mi fa solo un'immensa pena. Così, come una mamma dovrebbe aiutare il proprio cucciolo ad alzarsi per donargli la vita, io con una zampata ben assestata decido di donare alla morte di quell'essere: dopo una tale agonia, tanto vale morire...
Voltando la testa, noto degli Elfi a cavallo di grifoni che mi si avvicinano lentamente: sono affranti quanto me, evidentemente non abituati a tutto quello scempio, mentre le loro cavalcature, pur essendo ferite e sfinite, si guardano soddisfatte intorno. Non capisco se sono contente di essere sopravvissute o contente di quello scempio: differenza importante, differenza tra appagamento e sadismo.
-Tutto bene, dragonessa?- Mi dice uno degli Elfi. -Abbattuto il nemico?-
-No- rispondo. -L'umano è morto, il drago impossibilitato a muoversi. E' finita, vero?-
Il Diurno annuisce stancamente. -Sì. Ci sono state un numero relativamente alto di perdite, ma grazie a voi due draghi è andata meglio di quanto potessimo sperare. Il nemico è stato abbattuto-. La notizia mi procura una gioia amara: la mia fazione ha vinto, ma dopotutto non sono una dragonessa vera, io, ma un'umana...
D'un tratto, come se mi fossi risvegliata da un sonno d'egoismo, mi ricordo dei miei amici. -Come stà Felix? E Selvaggia? E Squama? Sono sopravvissuti, vero?-
Uno scintillio di vitalità balena per un attimo negli occhi del soldato. -Sì. Gli umani che sono passati direttamente alla città erano di meno rispetto a qui. Hanno spedito i tuoi amici a questo lato della battaglia: sono tutti sopravvissuti, niente ferite gravi. Quel drago ha una vitalità incredibile...-
Orgogliosa e più tranquilla, arrischio a fare un'altra domanda. -E...Marok, è sopravvissuto?-
La faccia dell'Elfo si fa più seria. -Lui sì. Ma...Shine non ce l'ha fatta. E' stato colpito da una palla di fuoco del drago avversario...Fortuna che in quel momento erano separati...-
Un tuffo al cuore, mentre ricordo la tranquilla immaginetta dell'elfo seduto accanto al grifone. Immagino il dolore...Posso solo immaginarlo. Nient'altro.
L'elfo sospira. -Adesso dobbiamo occuparci del drago. Dove hai detto che è?- dice, con aria neutra che non mi lascia capire la sorte della malcapitata creatura.
-E' un po' più avanti, in una radura sulla destra...La si riconosce anche dal fiume perché è circondata da alberi caduti.
Senza fare domande, l'elfo annuisce. -Molto bene. Per tua informazione, Selvaggia, Felix ed il drago sono da quella parte- dice, indicando con la testa l'altro lato della cascata. Senza spettare altro e appena borbottando un ringraziamento, spicco il volo dirigendomi verso il luogo che mi ha indicato l'elfo.

Stanno bene, meglio di quanto potessi sperare: certo, molte delle ferite di Squama si sono riaperte, mentre Felix ha un brutto sfregio su un'ala. Cripto si lecca una zampa, mentre Selvaggia zoppica leggermente mentre mi raggiunge sulla sponda del fiume, gli occhi scintillanti. E' vestita da battaglia, con un'armatura maschile con su inciso un leone ed un'aquila sul petto che non le dona affatto. -Stella! Stella!- grida, gli occhi colmi di lacrime che vengono prontamente ricacciate indietro. Atterro leggera, avvicinandomi a loro mentre respiro affannosa. Mi accorgo improvvisamente, quasi tutti gli eventi me l'avessero fatto dimenticare, che la ferita sul collo si è riaperta e sanguina dolorosamente. Ignorandola, mi dirigo verso i miei amici.
-Vi vedo apposto...Più o meno- dico sollevata, abbassando la testa per poter guardare negli occhi Selvaggia. -Era un drago enorme...L'ho visto! Sicuramente un avversario formidabile!...-
-Enorme...Tsk...Era di stazza normale...Però sicuramente era stato ben addestrato: un osso duro perfino per la nostra Discepola-. Squama si avvicina a me incespicando. Lo guardo sbuffando una nuvoletta di fumo. -Potresti almeno fingere di essere felice che io me la sia cavata- dico ironica. Lui mi guarda glaciale, per poi scimmiottare le mie parole parlando in falsetto: -Oh! Come sono felice, felice, felice!- esclama, mandandomi in bestia. Tuttavia, mi calmo quando Felix si avvicina. -Basta con le ciance. Allora, come hai fatto a sconfiggere il famigerato bestione?- chiede distaccato. Dal tono di voce, sembra quasi che sia stata Selvaggia a convincerlo a porre la domanda. Effettivamente, l'Elfa lo fulmina con lo sguardo.
Non ho voglia di divulgarmi troppo nelle spiegazioni, così, dico solo: -Ho utilizzato il potere insegnatomi da Bijuck per creare un tornado e liberarlo dal collare. L'umano era già morto prima, caduto nel lago. Ho lasciato il drago privo di sensi e sono volata direttamente qui...-
Il silenzio glaciale che accoglie questa mia ultima affermazione mi lascia interdetta. -Che succede?- chiedo titubante.
Selvaggia, occhi sgranati, si riprende balzandomi direttamente in groppa. -Ma che?!...-
-Portaci da lui! Ti prego, Stella, corri!-
Il tono di voce critico mi comunica che la situazione è seria per l'Elfa, anche se non ne capisco il motivo.
Felix guarda la giovane dai capelli neri: -E' inutile, Selvaggia. E' troppo tardi ormai-. Il suo tono di voce è un po' rassegnato, un po' orgoglioso.
E' forse questo tono che mi convince più di tutto: con un balzo, spicco il volo seguita da Squama e da Cripto con in dorso un annoiato Felix.
Selvaggia ha gli occhi sgranati, e continua a darmi piccoli calcetti con i talloni: -Più svelta, più svelta! Potremmo arrivare in tempo...-
Pur sapendo che la situazione è critica, non posso fare a meno di porre la domanda: -Ma che stà succedendo?!- sbuffo irritata, infastidita per l'ennesima volta della mia ignoranza riguardo alle usanze di quel mondo.
Mi risponde Felix, affiancandomisi accanto con Cripto: -Riguarda il drago che hai lasciato svenuto. Fosse morto in battaglia, Selvaggia non si sarebbe agitata tanto. Ma dato che è vivo...I generali degli Elfi del Giorno, non avranno pietà. Ha ucciso Shine con le sue palle di fuoco, e non solo lui: verrà giustiziato non appena i generali saranno d'accordo nel verdetto riguardante la vita della creatura...E quindi, subito. Perché ha infranto un patto antico quanto quello che non abbiamo stipulato con i grifoni: ha ucciso uno dei nostri animali simbolo, oltre che ha qualche Elfo. Merita di morire per questo-.
Il discorso mi colpisce per vari fattori: anzitutto, avevo dato per scontato che il drago sarebbe stato risparmiato, dato che non era in sè; magari, ci avrebbe potuto accompagnare nel nostro viaggio...
E poi... E' il tono di voce di Felix: orgoglioso, seppur denso di rammarico. Capisco che da una parte è fiero delle usanze della sua razza, mentre dall'altra ne è disgustato. Il "Merita di morire" da lui pronunciato non è detto con piacere, ma con risentimento. Così, forse davvero gli piacciono i draghi?
Squotendo la testa, aumentando ancora la velocità, fin quando non arrivo al punto da cui sono partita per andare a trovare i miei amici: lo riconosco subito, anche perchè è ghermito di una folla di curiosi Elfi del Girono che vogliono assistere all'esecuzione. Annunciandomi con un ruggito per fare un po' di spazio, tra la folla, atterro pesantemente vicino alla riva.
Non appena le mie zampe sfiorano il suolo, Selvaggia salta dalla mia groppa per dirigersi direttamente dal drago. Viene tuttaiva fermata da alcuni soldati, che le puntano contro le lance.
-Non puoi passare- intima uno di loro. -L'esecuzione deve ancora essere svolta-.
L'elfa è disperata: lo si vede quando, per un istante, volta la testa indietro. Ma poi, presa da una nuova disperazione, scansa via in malo modo uno dei soldati, per raggiungere il rettile sveglio ma intontito a terra. Non compie nemmeno due passi che Felix, così veloce da sembrare solo un guizzo di piume, la ferma prendendola per i polsi e trascinandola indietro.
Gli Elfi la guardano con odio, mentre si dimena tra le braccia del suo amato. -Non potete!- grida. -Non era in sè! Non era in sè!-
Uno dei soldati, gentilmente, la aiuta a farla tornare indietro con Felix, e lei non può fare altro che calmarsi ed osservare tremante la scena. Mi guarda con occhi imploranti, ed io guardo Squama, ben più saggio di me in queste questioni: lui squote la testa con aria rassegnata, così non posso far altro che limitarmi a stare tranquilla ed a guardare la scena anche io, un senso di impotenza che mi attanaglia le viscere.
Cinque soldati si avvicinano al rettile immenso, che non ha la forza nè la prontezza di fare nulla: contemporaneamente, gli elfi alati conficcano fulminei le proprie armi negli arti degli animali, trafiggendo zampe e coda per immobilizzarle al suolo. Il drago ruggisce di dolore, mentre il suo sangue spruzza da tutte le parti. Altri due Diurni coraggiosi gli si avvicinano e gli fanno passare una pesante catena al di sopra del collo, così che il povero essere è incapacitato a muovere pure quello. Il dolore lo acceca, e l'essere si dibatte ancora mentre la catena viene fissata ai due lati del corpo del drago, che adesso non può fare altro che strisciare i propri arti sul terreno, così che gli oggetti che lo immobilizzano penitrino ancora di più nella carne.
Gli Elfi guardano in silenzio, impassibili, mentre i Grifoni sibilano con frustrazione.
Un Elfo corazzato alza una mano, come a richiamare qualcuno: -Adesso, vieni qui, Marok: tu simboleggi tutte le perdite che questo essere ha inflitto alla nostra razza. E' giunto il momento di riscattare la tua vendetta-.
Dalla folla l'Elfo si avvicina lentamente verso un elfo che gli porge una spada, lo sguardo spento e le ali flosciamente ripiegate: il cambiamento nello spirito è evidente quanto lo sarebbe una cicatrice in volto. Alzando la testa, l'Elfo prende la spada, per poi lanciarla, facendola conficcare in un albero sopra il drago con un movimento secco accompagnato da un battito d'ali che lo fa salire in aria. Tutti gli elfi lo guardano, inorriditi ed atterriti. -Ammazzare quel drago non mi ridarà il mio Shine- risponde l'elfo con voce roca. -Basta abomini: mi rifiuto-. Così dicendo, vola via.
Vorrei seguirlo, ma so che sarebbe sbagliato: il mio posto è qui, adesso.
L'Elfo che ha pronunciato il piccolo discorso scrolla le spalle con aria comprensiva. -Molto bene. Vorrà dire che sarò io stesso ad inferire il colpo-.
Così, prendendo una spada che gli è stata porta da un soldato, si avvicina alla testa del drago. Il rettile spalanca gli occhi, così che anche io li posso vedere bene per la prima volta: ha delle iridi bellissime, di un colore quasi madreperlato, non più sporcate da patine di incantesimi. Riesce ad aprire appene la bocca, mentre il panico si disegna in quei laghetti perlacei, rovinandoli. -No...Per favore...Vi prego...NO!-
Quell'ultima negazione, potente come un ruggito, rieccheggia nell'aria densa di panico, prima che la spada dell'Elfo affondi nella gola dell'essere, tagliandoli la vena della vita. Poi, l'elfo si volta, parlando: -E' finito: il nemico è morente a terra. La vendetta è stata attuata. Adesso andiamo, fratelli: c'è una città da ricorstuire...E cadaveri da cremare-. Così, si alza in volo, seguito dal resto della folla con una velocità incredibilie, in un turbinio di piume multicolore.
Rimaniamo solo io, Squama, Selvaggia, Felix e Cripto. L'Elfo del Giorno lascia andare lentamente la Notturna, che si precipita dal drago, carezzandone le squame intrise di sangue.
Il maestoso essere respira a fatica, ed ad ogni rantolo il sangue esce dal suo collo come una fontana nauseabonda, mischiandosi alle lacrime dell'Elfa. Mi avvicino anche io, soffrendo per il suo dolore, guardando Squama con occhi pietosi: anche lui è distrutto, gli fa male non aver potuto fare nulla.
Il drago viola tossisce sputacchiando, per poi parlare con voce smorta: -E' il mio destino...Dopo tutto quello che ho fatto. Ma almeno...Almeno posso dire di aver combattuto contro la Discepola...Colei che porterà a termine il massacro che stà avvenendo.- Gli manca la voce, deglutisce tentando di tirar su la testa. -Comunque...Sappiate a cosa state andando incontro: quell'essere...Quel demone tiranno degli...umani...Non può essere normale. E' troppo...Troppo potente. Io...Non vorrei essere in voi; sono contento di morire ora. E' troppo...Troppo potente...- ripete di nuovo, mentre ci guarda senza vederci. E' a questo punto che Squama, con un ruggito rabbioso che fa allontanare Selvaggia dal corpo del drago viola, con fulmineo ed implacabile movimento di collo affonda i denti nel punto in cui la spada ha trapassato il collo, allargando il buco fin quando il drago non spira malamente. Lo guardo inorridita mentre si lecca il suo sangue per ripulirsi la faccia. -Non era più in sè; stava delirando. Molto meglio farlo finire così- spiega; ma si capisce che, in fondo, sa che probabilmente quell'essere ha ragione.
Così, mesti e pesti, decidiamo di tornare nella Capitale, per riuscire a guarire da ogni tipo di ferite: corporee, psicologiche...Dopo tutto, non c'è differenza di dolore.